Sulla croce, mendicanti del Suo amore
Il nostro grido di fronte al male ingiustificabile
«Verso le tre, Gesù gridò a gran voce… Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito» (Vangelo, Mt 27, 46a.50).
Quel grido lacerante dell’Innocente Crocifisso in qualche modo lo conosciamo. È risuonato e risuona continuamente nella nostra storia di uomini. È il grido, rimandatoci con spietata fedeltà dalla scatola nera, dei centocinquanta passeggeri dell’aereo tedesco un attimo prima di venir schiantato contro la roccia. E’ il grido dei martiri bruciati vivi, delle madri, dei padri, dei figli separati violentemente dai propri cari e dalla propria terra, il grido ormai sfinito, ridotto allo straziante lamento dei bambini che muoiono di fame, delle giovani donne violate e spogliate di ogni dignità, delle vittime di ogni più micidiale emarginazione e violenza…
È l’orrore per il terrificante eccidio ed il rapimento di cristiani perpetrati in Kenya (Garissa). E’ il grido della nostra impotenza a sfondare la porta del male inspiegabile ed ingiustificabile, dell’angoscia per non riuscire a difendercene, per l’impossibilità di evitarlo… Ma dev’essere anche il grido di dolore per l’incapacità personale di evitare il peccato
È il grido dell’Innocente Crocifisso
Il nostro grido è ricompreso in quello di duemila anni fa sul Calvario, il grido di Gesù. Lui, il Figlio di Dio, legato al Padre nel vincolo dello Spirito, sulla croce «gridò a gran voce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”» (Mt 27,46b). Nel silenzio che il Padre si era imposto di fronte alla sua domanda Gesù toccò il fondo della sofferenza dell’uomo, di ogni uomo. Perché? Perché fece la più terribile esperienza possibile di dolore. Quello dell’estraneità radicale propria del peccatore.
«Colui che non aveva conosciuto peccato [mai aveva rotto la relazione costitutiva con Dio], Dio lo trattò da peccato in nostro favore» (2Cor 5,21). Nel peccato si tocca con mano la perdita dell’amore, dell’amore di Dio. Il peccato desertifica.
«Noi – scrive Sant’Agostino – non avevamo di nostro nulla da cui aver la vita, come lui nulla aveva da cui ricevere la morte. Donde lo stupefacente scambio: fece sua la nostra morte e nostra la sua vita. … Prese su di sé la morte che trovò in noi e così assicurò quella vita che da noi non può venire» (Disc. Guelf. 3; PLS 2, 545-546).
In Cristo la misericordia si fa carne e sangue
«La vera novità del Nuovo Testamento rispetto all’Antico non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti – un realismo inaudito. Già nell’Antico Testamento la novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell’agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. … Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo – amore, questo, nella sua forma più radicale” (Benedetto XVI, Deus Caritas est, 12).
La fede, primizia di resurrezione
«Il re Nabucodònosor… si rivolse ai suoi ministri: “Non abbiamo noi gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?”. “Certo, o re”, risposero. Egli soggiunse: “Ecco, io vedo quattro uomini sciolti, i quali camminano in mezzo al fuoco, senza subirne alcun danno”» (Deposizione, Lettura, Dn 3, 91-92). La fede – che ci è testimoniata dai tre fanciulli, fatti gettare dal re di Babilonia nella fornace di fuoco perché si erano rifiutati di rinnegare il Dio dei loro padri – è la stessa dei nostri fratelli cristiani perseguitati. Essi, senza spirito di vendetta, giungono fino a dare la vita. Come è possibile? Custodiscono, inscritta nella carne del loro io, una certezza inestirpabile: Dio ci ama per primo, in ogni istante come se fosse l’ultimo istante. E soprattutto sono convinti, come invece spesso noi fatichiamo ad essere, che «Ovunque cadiamo, cadiamo nelle sue mani. Proprio là dove nessuno può accompagnarci ci aspetta Dio» (Benedetto XVI, Messa per la morte di Manuela Camagni, MD). Vivere con questa certezza significa gustare le primizie della resurrezione.
Sulla croce, mendicanti del Suo amore
Ora che «tutto è compiuto», immedesimiamoci con Maria che, pietà elargita a tutto il genere umano, riceve tra le braccia il cadavere del figlio. Guardiamolo come la Vergine, con gli occhi, col cuore, con la mente perché da quel morto è venuta a noi la vita. Amen
Celebrazione della Passione e della Deposizione del Signore
Duomo di Milano, 3 aprile 2015
Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
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